Un primo piano di Oliver |
Oliver si è spento. Era uno degli Orsi della Luna simbolo della
battaglia contro le fattorie della bile. La sua storia diventa nota
solo nel 2010 quando i volontari di Animal Asia aprono la sua gabbia
dove aveva trascorso 30 anni della sua vita.
Un vero e proprio incubo: uno spazio freddo e angusto, con l’addome rinchiuso in una pettorina metallica arrugginita fissata per mantenere in posizione il catetere per l’estrazione della bile. Tre interminabili decenni in uno spazio così piccolo da deformarne la testa e da impedirne la crescita delle zampe. Un inferno che spesso porta questi animali a tentare il suicidio sbattendo la testa contro le sbarre. Ma non Oliver, perché lui aveva una gran voglia di vivere.
Per raggiungere la libertà ha anche affrontato un percorso di 1500 chilometri in quattro estenuanti giorni, sopravvivendo anche a un intervento chirurgico salvavita di quattro ore portato a termine nel cassone di un camion. Oliver però voleva assaporare ciò che gli era stato negato per così tanto tempo: il gusto della libertà.
«Vedere quest’orso anziano, con la testa deformata e le zampe troppo corte, trotterellare fuori dal suo rifugio coperto verso le aree esterne della riserva, annusare l’aria, l’erba e la terra, non smette mai di ispirarmi in ciò che faccio» raccontava nell’aprile scorso Nic Field, Responsabile Veterinario per la Cina.
Oliver ha trascorso gli ultimi quattro anni e mezzo felice e sereno nel Chengdu Bear Rescue Centre dove ha potuto assaporare il gusto della libertà. Nelle ultime settimane le sue condizioni fisiche erano andate a deteriorarsi, smettendo di alimentarsi e così i responsabili del centro hanno deciso di sottoporlo ad eutanasia.
[Clicca qui per guardare il video della storia di Oliver]
Oliver però non è morto, perché è un simbolo per tutti quelli che sostengono la battaglia contro le fattorie della bile. «Anche se era un vecchio orso, ha rifiutato di arrendersi - racconta Jill Robinson, fondatrice di Animal Asia -. La sua lotta ha ispirato la nostra. La sua storia ha continuato ad essere raccontata in tutto il mondo e ha sollevato crescente consapevolezza degli orrori delle fattorie della bile. Il nostro orso ferito continuerà a ispirare il soccorso di tanti altri».
Oliver non rappresenta solo la sofferenza, ma anche la speranza. «Ogni visitatore del santuario e ogni supporter di tutto il mondo conosce la sua storia di Oliver - racconta Nic Field -. Sono abbastanza sicuro che la sua eredità vivrà. Tutti noi siamo tristi per la sua morte e ci mancherà molto. Ma ci conforta sapere che insieme siamo riusciti a dargli più di quattro anni di libertà. Nonostante tutto quello che aveva passato, la sua natura tollerante e vivace ha toccato tutte le persone che lo hanno incontrato».
Le fabbriche della bile
Un vero e proprio incubo: uno spazio freddo e angusto, con l’addome rinchiuso in una pettorina metallica arrugginita fissata per mantenere in posizione il catetere per l’estrazione della bile. Tre interminabili decenni in uno spazio così piccolo da deformarne la testa e da impedirne la crescita delle zampe. Un inferno che spesso porta questi animali a tentare il suicidio sbattendo la testa contro le sbarre. Ma non Oliver, perché lui aveva una gran voglia di vivere.
Per raggiungere la libertà ha anche affrontato un percorso di 1500 chilometri in quattro estenuanti giorni, sopravvivendo anche a un intervento chirurgico salvavita di quattro ore portato a termine nel cassone di un camion. Oliver però voleva assaporare ciò che gli era stato negato per così tanto tempo: il gusto della libertà.
«Vedere quest’orso anziano, con la testa deformata e le zampe troppo corte, trotterellare fuori dal suo rifugio coperto verso le aree esterne della riserva, annusare l’aria, l’erba e la terra, non smette mai di ispirarmi in ciò che faccio» raccontava nell’aprile scorso Nic Field, Responsabile Veterinario per la Cina.
Oliver ha trascorso gli ultimi quattro anni e mezzo felice e sereno nel Chengdu Bear Rescue Centre dove ha potuto assaporare il gusto della libertà. Nelle ultime settimane le sue condizioni fisiche erano andate a deteriorarsi, smettendo di alimentarsi e così i responsabili del centro hanno deciso di sottoporlo ad eutanasia.
[Clicca qui per guardare il video della storia di Oliver]
Oliver però non è morto, perché è un simbolo per tutti quelli che sostengono la battaglia contro le fattorie della bile. «Anche se era un vecchio orso, ha rifiutato di arrendersi - racconta Jill Robinson, fondatrice di Animal Asia -. La sua lotta ha ispirato la nostra. La sua storia ha continuato ad essere raccontata in tutto il mondo e ha sollevato crescente consapevolezza degli orrori delle fattorie della bile. Il nostro orso ferito continuerà a ispirare il soccorso di tanti altri».
Oliver non rappresenta solo la sofferenza, ma anche la speranza. «Ogni visitatore del santuario e ogni supporter di tutto il mondo conosce la sua storia di Oliver - racconta Nic Field -. Sono abbastanza sicuro che la sua eredità vivrà. Tutti noi siamo tristi per la sua morte e ci mancherà molto. Ma ci conforta sapere che insieme siamo riusciti a dargli più di quattro anni di libertà. Nonostante tutto quello che aveva passato, la sua natura tollerante e vivace ha toccato tutte le persone che lo hanno incontrato».
Le fabbriche della bile
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