venerdì 10 maggio 2019

“Spariranno anche 5 milioni di insetti”

A parlare così è la responsabile foreste di Greenpeace Italia sull'allarme lanciato da Ipbes riguardo la scomparsa a breve di animali e vegetali. "Tra il 1980 e il 2000 sono stati cancellati ben 100 milioni di ettari di foreste tropicali"


Uno scenario tanto devastante non si poteva immaginare eppure l’allarme lanciato nel rapporto Ipbes, la Piattaforma intergovernativa scientifico-politica sulla biodiversità e gli ecosistemi (organismo delle Nazioni Unite) non lascia molto spazio ad interpretazioni: un milione di animali e vegetali scompariranno dalla Terra e dagli Oceani in tempi relativamente brevi. Una presa di posizione forte e una denuncia che, come un sasso nello stagno, dalla Casa dell’Unesco a Parigi ha trovato la totale condivisione degli ambientalisti di tutto il mondo, come conferma Martina Borghi, responsabile campagna foreste di Greenpeace Italia: “Alla stima secondo cui sarebbero 8 milioni le specie animali e vegetali a rischio vanno aggiunti 5 milioni di insetti. Che potrebbero sparire addirittura in 11 anni. Il prevalere degli interessi economici ha portato ad un tale sfruttamento delle risorse naturali da rischiare ora conseguenze irreversibili”.

Nello specifico cosa sta succedendo al patrimonio mondiale delle foreste?
E’ bene precisare che tra il 1980 e il 2000 sono spariti ben 100 milioni di ettari di foreste tropicali. Un fenomeno di distruzione determinato soprattutto dagli allevamenti di tipo industriale che si sono concentrati soprattutto nei territori dell’America Latina. Le piantagioni in monocoltura, invece, hanno contribuito alla deforestazione soprattutto nei paesi del Sud Est Asiatico dove sono spariti 7 milioni e mezzo di ettari. Parliamo di percentuali incredibili: l’80% riguardava le piante da olio, quelle utilizzate soprattutto in alimentazione e per la produzione di biodisel. Solo in Indonesia, nel Borneo (l’area con la maggiore biodiversità del pianeta), sono andate perse la metà delle foreste.
Quali sono i rischi per le popolazioni?
Le coltivazioni monocolture come la soia, per esempio, utilizzate per la produzione del biodiesel fanno registrare impatti negativi soprattutto per l’intenso utilizzo di pesticidi e erbicidi. Nel passaggio dall’agricoltura base, più familiare, a quella di tipo industriale gli impatti negativi minacciano la catena alimentare e l’accesso all’acqua pulita. Le conseguenze sono immaginabili e possono scatenare veri conflitti sociali.
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